Aggiungo alcune immagini al vecchio articolo sulla storia di via dei Fori Imperiali. Prima di tutto l’immagine di come era appena una ventina di anni fa, accompagnata da due quinte simmetriche di alberi e giardini . Poi, di seguito, all’interno dell’articolo, come si presenta ora, manomessa, cementificata, privata del verde.
Il problema della tratta T3 della Metro C è connesso alle vicende di via dei Fori Imperiali. Questo articolo, che anticipo per gli amici di Facebook , è stato consegnato mesi fa alla rivista Lazio ieri e oggi che dovrebbe uscire a breve. Poiché ritengo che l’informazione debba necessariamente essere alla base di qualunque discussione ve lo sottopongo in anteprima, sperando che abbiate la pazienza di leggerlo.
ANNAROSA MATTEI
Da Piazza Venezia a via dei Fori Imperiali: una storica passeggiata ridotta a un percorso di guerra tra mute rovine, cemento e cantieri.
I romani non camminano volentieri lungo Via dei Fori Imperiali, non solo per la ressa dei turisti che quotidianamente la affollano, ma soprattutto perché non la intendono e non la riconoscono. Per molti di loro la via monumentale è una sorta di non-luogo, una smagliatura rispetto al tessuto degli antichi rioni: al di là della distesa dei Fori, disseminata di rovine, dominata dal Colosseo, immaginano forse che inizi una storia diversa, che la città si allontani e diventi un’altra. Sono ben pochi, infatti, i cittadini romani che percepiscono la distanza effettiva tra piazza Venezia e il Colosseo e quasi nessuno crede che per andare da un capo all’altro della via occorrano solo dieci minuti. Ma, a ben vedere, chi può dare loro torto, viste le sue condizioni attuali? Perché mai qualcuno dovrebbe percorrere a piedi uno stradone disabitato, in cui, nonostante l’importanza e la bellezza dell’area archeologica circostante, mancano attività, punti verdi, fontane, luoghi di incontro, di informazione e ristoro? A via dei Fori Imperiali, che sembra ormai riservata esclusivamente al transito veloce di un turismo disinformato, sembra proprio che sia stata sottratta la vita.
Quando, il 28 ottobre del 1932, venne aperta la monumentale strada, che allora si chiamava via dell’Impero, venne demolito un popoloso quartiere, fittamente urbanizzato nel medioevo, ricco di case e palazzi, attività artigianali, commerciali, chiese, monasteri. Venne abbattuta addirittura una collina, la Velia, che impediva il passaggio verso il Colosseo. Con l’apertura del nuovo asse viario l’intero quartiere, incuneato tra i rioni Monti e Campitelli senza soluzione di continuità, scomparve insieme a tutti i suoi edifici, le sue vie, i suoi abitanti. L’area venne spianata, gli edifici rinascimentali e medievali abbattuti, molte vie interrate, interrotte le attività, la popolazione deportata in borgate periferiche.
Si aprì in tal modo un vuoto e, sulle rovine dell’antico quartiere Alessandrino, chiamato così dal luogo di nascita del cardinale Michele Bonelli, che lo aveva radicalmente trasformato nella seconda metà del Cinquecento, venne realizzata la via dell’Impero, una sorta di spazio teatrale, del tutto privo di abitanti ma adorno di giardini, funzionale alle parate e alle rappresentazioni di potere del regime. Un’apposita campagna di scavi rimise ben in evidenza, ai lati della via, lo sfondo dei Fori, liberati dalle costruzioni che nei secoli si erano mescolati alle antiche rovine; la stessa Curia venne riportata al suo aspetto originario con un pesante intervento di demolizione della chiesa di Sant’Adriano al Foro che pure ne aveva preservato la struttura. A lavori compiuti, la via dell’Impero, ampia e magniloquente, si aprì tra le quinte dei Fori, procedendo verso la prospettiva scenica del Colosseo per rappresentare la rinascita della romanità e la potenza del regime.
Con analoghi scopi celebrativi, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, lo stesso destino era toccato a una piccola piazza rinascimentale delimitata, per tre lati, da due palazzi quattrocenteschi disposti ad angolo, Palazzo e Palazzetto Venezia, e dal cinquecentesco Palazzo Torlonia, che in origine era allineato con via del Corso. Per edificare il Vittoriano, monumento all’Italia unita, al suo re e alla nuova capitale, vennero abbattuti palazzi, chiese, antichi edifici, nonostante le veementi proteste dei più autorevoli intellettuali e studiosi dell’epoca. L’antica piazza Venezia, allargata a dismisura, venne ridisegnata come un’enorme platea vuota perché diventasse, anche in questo caso, uno spazio teatrale celebrativo di rappresentazione politica del Regno d’Italia. Memorabile l’impresa dello spostamento del palazzetto Venezia, che venne smontato e ricostruito in posizione arretrata, verso via Botteghe Oscure, in modo del tutto arbitrario, falsando quote e proporzioni. Per far posto al Vittoriano vennero abbattuti la torre di Paolo III e il passetto che collegava Palazzetto Venezia al Campidoglio; furono demoliti il convento e i chiostri dell’Aracoeli; fu demolito nel 1903 anche il cinquecentesco Palazzo Bolognetti-Torlonia, considerato uno dei più splendidi e fastosi d’Europa per la qualità e la ricchezza delle decorazioni e delle opere d’arte. Sparirono la piazza, la via e il vicolo di Macel dei Corvi, dove esisteva ancora la casa di Michelangelo, ricordata in seguito da una targa murata sul Palazzo delle Assicurazioni, l’edificio nuovo, che venne costruito a specchio, in stile neorinascimentale e in posizione simmetrica rispetto a Palazzo Venezia, ma molto più arretrata rispetto all’antico Palazzo Torlonia.
Fu, dunque, tra piazza Venezia e l’allora via dell’impero, che venne riscritta un’idea della nuova Italia unita e della sua capitale, a furia di sventramenti, demolizioni, deportazioni che suscitarono non pochi dibattiti e polemiche. Le nuove aree monumentali vennero totalmente riprogettate includendo ampie zone di verde, con l’intento di renderle comunque belle e gradevoli per cittadini e i visitatori. Nei due slarghi ai lati del Vittoriano, secondo il disegno di Giuseppe Sacconi, responsabile del discutibile progetto di piazza Venezia e del patriottico monumento, ampie aiuole alberate creavano delle quinte verdi. Allo stesso modo, sia all’inizio che lungo tutto il percorso della via dell’Impero, su entrambi i lati, l’insigne archeologo Corrado Ricci aveva progettato e fatto realizzare ampi giardini, con aiuole fiorite e maestosi pini marittimi.
Ma già da allora i romani operarono una sorta di inconscia rimozione del nuovo assetto urbanistico, che considerarono estraneo rispetto all’antica città racchiusa nell’ansa del Tevere, tra piazzette e stradine. L’apertura traumatica di Piazza Venezia, infatti, non costò solo la perdita di un prezioso patrimonio storico artistico, ma creò la prima discontinuità nel cuore di Roma, segnando una insanabile frattura tra la città rinascimentale e barocca e la Roma medievale e cristiana nata, dall’altra parte della piazza, a ridosso delle rovine dei Fori con cui aveva creato un secolare connubio. L’apertura di poco successiva di via dell’Impero accentuò la cesura, portando a compimento un programma politico che aveva scelto di rappresentare l’idea di Roma capitale proprio ai margini dei due luoghi più carichi di storia e di simboli: il Campidoglio e il Colosseo.
Per un curioso e fatale destino in questi ultimi venti anni piazza Venezia e via dei Fori Imperiali sono state nuovamente manomesse, ma in modo disordinato e discontinuo, in assenza di un disegno urbanistico unitario. La piazza, rispetto al progetto di Giuseppe Sacconi, ha mantenuto solo la quinta alberata di destra, dalla parte di piazza San Marco, mentre ha perso quella di sinistra, sul lato del Palazzo delle Assicurazioni Generali. Per quanto riguarda la via, già all’inizio del percorso, a un primo colpo d’occhio complessivo, si nota che, lungo l’intero asse viario, molte delle aree verdi progettate da Corrado Ricci sono scomparse e le poche rimaste sono compromesse e maltenute. Cominciando il cammino dalla piazza della Madonna di Loreto, nello spazio in cui c’era un’aiuola alberata, simmetrica a quella del lato opposto, nel 2008 sono stati fatti scavi esplorativi per il passaggio della Metro C e ora si apre un fossato, in fondo al quale affiorano resti di antiche murature (l’Auditorium di Adriano secondo gli archeologi), che era assai prevedibile ritrovare a pochi passi dalla Colonna Traiana e che comunque risultano assai poco leggibili per il profano. Procedendo sempre sul lato sinistro, laddove fino alla metà degli anni novanta si trovava un gradevole ed esteso giardino, si apre ora un altro lungo fossato di scavo, delimitato sul lato opposto dalla via Alessandrina che lo separa dal Foro di Traiano. Lungo il marciapiede si sale e si scende su livelli diversi, tra piazzole, scale, aggetti e terrazzamenti di cemento, su uno dei quali si nota il tronco mozzato di un pino: all’interno del fossato non ci sono i resti dei Fori, come era lecito aspettarsi, ma solo le murature e le fondamenta degli edifici dell’antico quartiere alessandrino demolito per l’apertura della via. Proseguendo lungo il marciapiede, tra le statue degli imperatori, le aiuole di roselline smunte, i cespugli di alloro, i pochi pini sopravvissuti agli abbattimenti e soffocati dal cemento, si procede salendo e scendendo su gradini e gradoni disposti senza nessuna coerenza. Il progetto di scavi, avviato nel 1995, compreso nel Piano degli interventi per il Giubileo del 2000, ha interessato il Foro di Cesare e di Nerva, il Foro della Pace, un settore enorme del Foro di Traiano, tra via dei Fori e via Alessandrina, e, tra il 2004 e il 2006, l’area del Foro di Augusto. Nonostante nulla di significativo sia affiorato, se non i piani terreni, le cantine, la quota pavimentale delle antiche abitazioni dell’antico quartiere demolito, nessuno, fino ad ora, ha mai pensato di ricoprire gli scavi e di ripristinare il verde. Molti pensano anzi di demolire anche la via Alessandrina e i più radicali sognano di cancellare la stessa via dei Fori Imperiali immaginando di superare i salti di quota con improbabili ponti e passerelle.
Torniamo indietro e proseguiamo questa volta lungo il lato destro della via nella nostra passeggiata virtuale. A qualche metro oltre il Vittoriano, all’interno di un’aiuola malandata, sopravvissuta al cemento, troviamo solo due dei quattro pini originari. Poco dopo, all’altezza della Curia, un’ampia rete di recinzione delimita da molti mesi uno spazio terroso e incolto dove, accanto ai fusti mozzati di due pini, sopravvivono solo tre lecci. Lungo il percorso sono scomparsi finalmente, da poco, i camion bar e le bancarelle di frutta, ma, a popolare gli spazi antistanti al perimetro della rete, non mancano mai ambulanti e figuranti. Più avanti, sempre sullo stesso lato destro, il marciapiede si disarticola e, come nella parte opposta della via, si alza e si abbassa in riseghe e gradoni di cemento che aggettano sul foro sottostante in modo discontinuo e disordinato: anche qui, su uno dei terrazzamenti, il moncone di un pino abbattuto. Lungo il marciapiede, subito dopo la misteriosa recinzione e i caotici saliscendi, una ben misera e spoglia aiuola avanza nel cemento fino a restringersi in una striscia di terra di pochi centimetri delimitata da leziose bordature di ferro. Sul bordo esterno del marciapiede vasche di begonie sofferenti in sequenza. Sino a pochi anni fa tutto questo lato destro della via era sistemato a verde e ad alberature, esattamente come il lato sinistro.
Siamo ora a metà strada, a largo Corrado Ricci, dove c’era un altro giardino tra il Foro di Nerva e l’inizio di via Cavour. Nello spazio non molto ampio, dove a ridosso del muro romano da qualche tempo è comparsa una nuova recinzione (altri scavi?), troviamo aiuole circolari di roselline ritagliate in mezzo a una colata di ghiaia cementificata che ha ricoperto l’intera superficie dello slargo minacciando di asfissiare i pochi pini scampati agli abbattimenti.
A destra, dopo aver costeggiato brutte vasche bianche di polverosi bossi che chiudono la via delimitandone la zona pedonale, le chiese di san Lorenzo in Miranda e dei Santi Cosma e Damiano, la Basilica di Massenzio si ergono, come sospese, su profondi fossati di scavo, in fondo ai quali, solo a sinistra, compaiono i resti delle pavimentazioni e degli antichi muri perimetrali del cosiddetto Foro della Pace, mentre a destra non c’è assolutamente niente. La basilica, la cui stabilità potrebbe essere minacciata sia dagli scavi che dai limitrofi cantieri della Metro C, è attraversata da un poderoso braccio trasversale di acciaio e ingabbiata in ponteggi di sostegno; le due chiese sono collegate al marciapiede da una stretta striscia di asfalto assai maltenuta, che qualche archeologo comunque vorrebbe abbattere per la continuità con l’area di scavo sottostante.
Arriviamo, infine, ai cantieri della Metro C, che, di qua e di là della via dei Fori Imperiali, si inoltrano fino a pochi metri dal Colosseo occupando metà della carreggiata.
A sinistra, in alto, numerosi container invadono i giardini di Villa Rivaldi, quasi del tutto spogliati, per l’occasione, del verde e di un gran numero di alberi; più in basso, il percorso della piacevole passeggiata Cederna, che si inerpicava sul Belvedere omonimo di fronte alla villa, è stato completamente distrutto. Ritornando a destra della via, si può osservare, con qualche preoccupazione per la loro stabilità, che i recinti invasi dai cantieri si trovano proprio sotto le colonne del tempio di Venere e Roma, sostenute da ponteggi e tiranti d’acciaio. Ed ecco infine il Colosseo, al termine di una via che i romani considerano con qualche ragione uno spazio estraneo, isolato dalla vita e dal contesto urbano. Se la passeggiata virtuale appena descritta è ora una spiacevole esperienza di pochi, che fanno di tutto per evitarla, possiamo immaginare quale incubo diventerà se gli scavi continueranno ancora accentuando i disagi provocati dall’ingombro e dai tempi biblici dei lavori dei cantieri.
L’ipotesi di abbattere la via Alessandrina e la stessa via dei Fori Imperiali resta in piedi per gran parte degli archeologi che condizionano le decisioni dei vertici amministrativi del comune che si sono succeduti negli ultimi venti anni. Per ora vari impedimenti politici e la solita cronica mancanza di fondi lo impediscono, ma non è detto che non accada proprio quando nessuno se lo aspetta. E, a giudicare da quanto è già avvenuto, non risulta che sia stato elaborato un progetto unitario per ridisegnare un’area cruciale della città alla luce di un’idea guida che le restituisca la bellezza perduta, il senso e la vita.
Viene da chiedersi quale sia oggi l’orizzonte culturale e progettuale che determina questa situazione e come mai si sia scelto di procedere in questi termini, con interventi occasionali, frammentari, indifferenti all’insieme storicamente e artisticamente complesso e stratificato di una città come Roma.
Certamente, se gli scavi, le recinzioni, le cementificazioni, gli abbattimenti di alberi e verde saranno fatti ancora in modo così dissennato, incoerente e irrispettoso per la bellezza e la storia di luoghi così antichi, l’area compresa tra piazza Venezia e il Colosseo continuerà a essere quello che è attualmente: un vero e proprio percorso di guerra, tra mute rovine, cemento e cantieri.
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Gentile AM – non dico della sua rilevanza storica, civile ecc.,agli esperti evidentissima; ma voglio dire del suo valore letterario. L’articolo/saggio è scritto magnificamente! Sono certo che molti aspiranti scrittori vi attingeranno a volontà per i loro incipit e le loro descrizioni. Non sono romano, mai Roma mi è parsa così bella, e triste. Cordiali saluti e auguri – AM
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