A proposito della pratica demenziale della caccia

Ho letto ieri l’articolo di Margherita D’Amico, di cui condivido, non solo la passione per gli animali e la natura, ma soprattutto la tenacia nella difesa del diritto alla vita che sarebbe proprio di tutte le specie. Ogni volta che penso alla folle pratica della caccia, specialmente in un paese quasi desertificato, da tempo povero di flora e fauna come il nostro, mi viene in mente una ‘modesta proposta’, come la chiamerebbe Swift: non potremmo creare delle adeguate riserve di caccia per soli umani perché gli appassionati della morte si sparino serenamente tra loro ad armi pari? Molti potrebbero in tal modo soddisfare il loro irrefrenabile istinto omicida, senza infierire sugli animali ma semplicemente affrontando i loro simili, ostentando gaiamente costosi fucili e pallottole. Conosco un potente signore romano che scrive poesie sulla lucentezza delle pallottole: pensate un po’ a quali follie può arrivare la mente umana…

La caccia uccide anche gli uomini
Vittime innocenti di troppi fucili

di MARGHERITA D’AMICO
su «Repubblica.it»

Pochi ne parlano ma di pratica venatoria non muoiono soltanto gli animali. Negli ultimi quattro anni, 114 morti e 303 feriti provocati dai pallini dei cacciatori. Non più una faccenda legata alla difesa della fauna e del territorio bensì qualcosa che tocca le persone e la loro incolumità. L’Italia è il primo produttore europeo di armi sportivo-venatorie
ROMA – E’ la mattina del 13 ottobre e Vincenzo Pulicicchio, settant’anni, è stato a raccogliere funghi. Torna all’auto con il paniere pieno; cammina lungo la strada sterrata, frequentata da pedoni e veicoli, che divide la provincia di Catanzaro da quella di Cosenza, quando scorge un paio di esemplari irrinunciabili. Si sporge appena verso il cespuglio e dall’alto un colpo di carabina gli trapassa la spalla, spezzandogli l’aorta. Dissanguato, secondo l’Associazione Vittime della Caccia, è il nono dei 16 morti e 48 feriti provocati dalle armi venatorie dalla pre-apertura di questa stagione – 1 settembre – a oggi. Seguono di pochi giorni un ragazzo di sedici anni, ucciso per errore vicino Pavia dall’amico di diciassette, e Onorio Dentella, raggiunto nel Bergamasco dal proiettile del nipote inciampato durante una battuta. I cacciatori hanno fatto strage fra i loro colleghi (12 morti e 34 feriti), ma anche tra persone che avevano il solo torto di passare davanti alla canna dei loro fucili: 4 morti (2 bambini) e 14 feriti (3 bambini).

Di caccia allora non muoiono solo gli animali, ma non se ne parla mai: perché? A sentire i parenti di molte vittime, gli scampati, diverse associazioni che si occupano di diritti umani, un fitto velo di omertà copre questi fatti, che spostano l’asse rispetto alla questione venatoria. Non più una faccenda legata alla difesa della fauna e del territorio, roba da animalisti e ambientalisti, bensì qualcosa che tocca le persone e la loro incolumità, e ha al centro gli strumenti con cui il pericoloso hobby è praticato: le armi.

Quanti cittadini italiani finiscono dunque nei bersagli destinati agli animali? Quante armi, in virtù della caccia, circolano fra la popolazione civile? In mancanza di dati ufficiali, richiesti con insistenza alle istituzioni, ogni anno l’Associazione Vittime della Caccia mette insieme una parziale lista dei caduti, dedotta da notizie di stampa locale poi verificate. Se la stagione 2010-2011 risulta particolarmente tranquilla, 25 morti di cui uno solo non cacciatore e 75 feriti (subito prima del periodo venatorio peraltro, vicino Altamura in provincia di Bari viene abbattuto da un bracconiere don Francesco Cassol, addormentato nel sacco a pelo durante un ritiro spirituale), il 2009/2010 registra 31 decessi e 86 feriti, e nel 2008/2009 i morti sono 42, di cui 27 estranei alla caccia, e i feriti globali 94. Negli ultimi quattro anni, (pur con una tendenza in calo) è una strage: 114 morti e 303 feriti. “Il nostro elenco si limita alle vittime dei fucili da caccia, sia in ambito venatorio che, quando riusciamo a saperlo, extra venatorio,” spiega Daniela Casprini, presidente dell’associazione. “Escludiamo incidenti come cadute, infarti, e pure i suicidi ameno che questi ultimi non siano stati commessi da minorenni” Ciò nonostante la nota che si scorre sul sito dedicato alle vittime della caccia è assai nutrita: il bambino di Lucca impallinato al volto mentre gioca nel cortile di casa, le sorelline colpite dalle schegge del fucile dello zio, l’automobilista incolonnato e raggiunto da proiettile vagante, la segretaria comunale di Venosa colpita in giardino, il giovane che a Siena stramazza in campo mentre gioca a pallone, quando a Palermo, sempre con un fucile da caccia, un uomo spara dal balcone e uccide l’ex genero.

Oltre a essere, infatti, grazie all’articolo 842 del codice civile, gli unici depositari del diritto a entrare nelle proprietà altrui a meno che non siano recintate a norma (chiudere quattro ettari costa 15-20mila euro) potendo sparare fino a 150 metri dalle abitazioni e a 50 dalle strade, i cacciatori sono anche autorizzati a possedere un numero illimitato di fucili e carabine, con cui, al contrario di chi ha un revolver per la difesa personale, possono esplodere colpi anche in luoghi pubblici. In base alla direttiva 91/477/CEE e ss. mm. ii. a loro è inoltre consentito di viaggiare con i fucili al seguito per tutti gli stati membri con la carta europea armi da fuoco, e anche fuori dalla UE, grazie a permessi rilasciati senza grandi difficoltà dalle questure.

Come mai tanti favori a una minoranza – si stima che i cacciatori siano poco più di 700mila – non così amata dall’opinione pubblica, che oggi sembra più a favore di animali, ambiente e vita pacifica? L’Italia è il primo produttore europeo di armi sportivo-venatorie, copre circa il 60% dell’intera offerta comunitaria, arrivando al 70% se si considerano solo le armi lunghe da caccia e tiro, ed è il più importante paese esportatore nel mondo di armi sportive, commerciali e munizioni, con aziende leader nel settore come Beretta e Fiocchi. “Secondo dati Eurispes 2008 il comparto ha un giro d’affari valutato poco meno di 2 miliardi di euro, invece per il Consorzio Armaioli Italiani nel 2010 l’indotto delle armi civili realizzava più di 3 miliardi” dice Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo. “La Rete Italiana Disarmo indica oggi in Italia 10 milioni di armi detenute ufficialmente, di cui la metà presso civili. Tra le categorie in possesso di licenza ci sono 50.000 guardie giurate, 178.000 sportivi del tiro a segno e circa 720.000 cacciatori.”

Spiegano dall’ANPAM, Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili: “Non sappiamo il numero esatto di armi da caccia vendute in Italia. Ma tutte le armi sportive e civili prodotte qui o importate devono essere testate, approvate, immatricolate e punzonate presso il Banco Nazionale di Prova. Conoscendo quindi la nostra produzione totale, esportata per il 90%, e quante armi lunghe vengono importate, stimiamo che ogni anno da noi ne vengano vendute intorno alle 50 mila, fra caccia e tiro sportivo.”

Ma quante e quali armi può avere un cacciatore? Quali esami psicofisici occorre superare per utilizzarle? “Un cacciatore possiede tutte le armi che vuole, ma fuori può portarne una sola, e se la lascia incustodita è reato penale” dice Gianluca Dall’Olio presidente di Federcaccia. A parte le carabine a canna rigata impiegate nella caccia agli ungulati, cervidi, mufloni e cinghiali, potenti quanto armi da guerra e capaci di raggiungere gittate di migliaia di metri “di regola si usano fucili ad anima liscia, principalmente calibro 20 e calibro 16, e ai nostri 450mila tesserati distribuiamo precisi vademecum.”

C’è chi dubita però che sia opportuno favorire ancora la massiccia presenza di questi utensili fra la gente.
Nel 2005 Christian Maggi ha 19 anni, vive a Sori in provincia di Genova e una sera, rientrando in motorino, si sente apostrofare dal terrazzo sopra il garage. “Vi siete divertiti?” chiede il vicino, 81 anni. Christian alza gli occhi e l’ex cacciatore gli scarica addosso 150 pallini. “Era in cura alla Asl, prendeva farmaci antimaniacali, ma gli lasciavano in casa due fucili” racconta il fratello Daniele. “Il processo penale si è chiuso subito, il gip non lo imputò di tentato omicidio ma di lesioni personali aggravate. Ha sparato nella schiena di Christian, inoperabile e costretto a convivere con tutto quel piombo in corpo, e non si è fatto un giorno di fermo.” Ed è ancora in una frazione di Sori, a Sussisa, che nel 2010 incontrano la morte le guardie zoofile Elvio Fichera e Paola Quartini, lei della LIPU, per mano di un cacciatore a cui stanno notificando una sanzione per le pessime condizioni di detenzione dei suoi cani. Renzo Castagnola uccide entrambi, quindi si toglie la vita.

“Parliamo di tragedie, ma non sottovalutiamo il disagio di dover tollerare estranei armati in casa propria” commenta Danilo Selvaggi, responsabile dei rapporti istituzionali della LIPU-Birdlife Italia. “Esiste inoltre una zona grigia fra caccia legale e bracconaggio, popolata di cacciatori che commettono piccole ma continue infrazioni.”

Tanti sicuramente sono ligi, ma c’è pure chi s’impone tagliando reti, uccidendo per rappresaglia animali d’affezione; conversazioni sui blog rivelano disinvoltura nell’ammettere frodi e abusi. Il clima è teso anche altrove, lo raccontano gli otto volontari italiani e tedeschi del CABS-Committee Against Bird Slaughter che nei Pirenei sono stati inseguiti dalle pallottole dei bracconieri a cui avevano disattivato quasi 700 trappole illecite. Per le guardie zoofile delle nostre associazioni più impegnate, fra cui Lipu, Lac, WWF, non è mai una passeggiata. Il 18 ottobre a Lumezzane, Brescia, finito un sequestro tre guardie del WWF tornano all’automobile, incustodita. Ripartiti, scoprono che qualcuno ha provveduto a tagliare i tubi del liquido dei freni, e solo un testacoda li salva da un burrone.

Possibile che le istituzioni al servizio del cittadino siano così evasive?
A quanto pare il Ministero degli Interni non è disponibile a trattare il tema, né sui guai combinati dalle armi da caccia la Polizia di Stato sa fornire alcun dato, informazione, commento. E dire che varie cronache riferiscono persino fenomeni di ricettazione di questi strumenti.
“Papà è morto alle 10.40, noi però siamo stati avvisati dai carabinieri alle 14.10, quando la notizia già circolava su internet; non abbiamo visto nemmeno un verbale” racconta Antonio Pulicicchio, figlio del cercatore di funghi ucciso a Soveria Mannelli. “A chi ha sparato pare fosse stato sospeso il patentino, si era unito lo stesso a una battuta al cinghiale e un amico medico gli ha prestato la carabina. Ha centrato mio padre da dieci metri. A causa dei cinghialai, squadre di rambo che si muovono anche in cinquanta, da queste parti la gente ha paura a uscire di casa.”

Luciano Cerutti invece viene stroncato a 56 anni in Val di Cadore, novembre 2005, da un selecacciatore, autorizzato ai cosiddetti abbattimenti di selezione fuori stagione. Femmine sterili, esemplari malati che verrebbero individuati a colpo sicuro, anche se per i requisiti minimi stabiliti dal Ministero della Salute con decreto 28/IV/1998 può rinnovare il porto d’armi chi veda con un solo occhio e abbia 8/10 di acutezza corretti da lenti e occhiali, chi decifri fonemi a non meno di sei metri di distanza pure per mezzo di impianti acustici (sotto questa soglia, ci si può consolare con la caccia in appostamento); nessuna prescrizione contro l’impossibilità di deambulare, mentre in caso di minorazioni agli arti superiori si può ricorrere alle protesi.

“Mio marito era salito alla sua piccola baita, bruciava ramaglie, l’uomo gli ha sparato da 55 metri. Non c’era nebbia, il fucile era dotato di binocolo; cercava un cervo e ha centrato Luciano al cuore” racconta la vedova Marcella Del Longo. “Non ha mai detto nemmeno ‘mi dispiace’. Ho due figli, il più piccolo ha perso il padre che adorava a tredici anni. Oggi a quell’uomo vorrei chiedere: cos’ha visto, quella mattina? Non mi risulta che mio marito avesse orecchie a punta, lunghe corna . Alcuni cacciatori hanno avuto il coraggio di chiedermi com’era vestito, come se bisognasse andare in giro a palle e strisce per non finire ammazzati.”

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