Forse non sono affatto contenta

Forse non sono affatto contenta

Strano che mi senta un po’ abbattuta. Dovrei essere contenta di essere in libreria con un nuovo romanzo. Invece no. Non lo sono affatto. So che adesso comincia una strada tutta in salita. Da fare in solitudine. Basta che apra un giornale per rendermene conto. Segnalazioni, interviste, anticipazioni. Tutto un fiorire rigoglioso di titoli e di nomi.
Ma chi sono quelli di cui si parla? Quelli che finiscono nelle classifiche, che compaiono in televisione, che prendono i premi? Sono sempre gli stessi. Tutti personaggi della carta stampata o della televisione. Comunque mediatici. Chi scrive fa parte di un gruppo ristretto che è sempre quello, una sorta di circuito chiuso senza ossigeno. Difficile esservi ammessi se non se ne fa già parte. Si può scrivere un libro su qualunque argomento solo se si scrive già su un giornale, se si è conduttori di qualche trasmissione televisiva o radiofonica. Non ha importanza che il libro sia un romanzo o un saggio. Chi scrive è meglio che sia un giornalista, così il suo giornale parlerà di lui, anticiperà le pagine del suo libro e i colleghi non potranno fare a meno di segnalarlo con mirabolanti recensioni. Del resto, se non lo facessero, non sarebbero ricambiati, qualora anche a loro venisse in mente di scrivere un libro. Una società neufeudale, la nostra, in cui il lavoro e i privilegi si tramandano di padre in figlio. A caste, appunto, come si usa dire adesso. A fare l’avvocato sarà chi ha già il padre avvocato, l’architetto chi ha il padre architetto e così via. In linea di massima, certo, dato che non è ancora proprio una regola. Ma è certo che si va consolidando negli anni. Quasi venti forse. Anche di più, se contiamo dall’era della televisione commerciale, che prima ha trascinato con sé quella pubblica e poi si è portata appresso il cinema, l’editoria, la scuola, l’università, la politica. La qualità corrisponde alla quantità. Tutto è merce. Anche noi.
«Un vero disastro, stando a quel che dici? Ma allora perché scrivi un libro? Un romanzo, poi, figuriamoci? » direbbero i miei lettori virtuali «Questo tuo discorso è una noia, una lagna. Tipico del nostro paese. Tutti a lamentarsi di tutto. »
«L’indignazione. Lo dicevano anche gli antichi…» risponderei io «Mi fa scrivere l’indignazione…».
«Ma chi se li ricorda gli antichi? Il presente conta, solo il presente…» replichereste seccati.
«Ma è un delirio il vostro? Quello di tutti noi anzi? Che senso ha il presente senza memoria? In questo modo distruggeremo tutto: cultura, identità, valori morali … Nell’altro libro avevo parlato di invasioni barbariche. Pensavo di avere esagerato a descrivere la fine delle città, il crollo dei palazzi …indignatio facit verba, dicevano gli antichi, quelli di cui non c’è più memoria, a detta vostra » continuerei io, presa dal sacro fuoco dialettico.
«Ma insomma di che parla questo libro nuovo di cui vai cianciando? Magari lo leggiamo per dimostrarti che non è vero quanto vai dicendo sulla deriva mediatica della comunicazione…» direste ancora, voi lettori virtuali, mettendo il segno con il dito al giallo che state leggendo.
«Di passione e indignazione appunto… di indignazione, forse, ce n’è più nell’altra storia. Di passione invece ce n’è tanta. In questo racconto si parla di donne. Donne di oggi, alle prese con il quotidiano, con i loro amori, i loro ruoli moltiplicati o scoppiati, sullo sfondo di una città magica, magnetica, in cui altre donne sono vissute lasciando tracce di sé nella memoria delle piazze, delle vie, dei palazzi. Livia, la moglie di Augusto, Beatrice Cenci, Santa Francesca Romana. Roma è una donna. Ed è L’archivio segreto, un’arca sacra. L’ho sempre pensato. »
«Ma bene! E gli uomini… A loro che raccontiamo? Che esistiamo solo noi? Che siamo il centro del mondo? Nulla di più falso. Lo sappiamo bene»
«La storia è dedicata a Shaharazad. Quindi gli uomini sono i veri destinatari anche se le donne sono le protagoniste. Le donne raccontano storie e gli uomini le ascoltano: solo così il mattino potrà rinascere, la vita continuerà e il mondo sarà meno sterile. Come nelle Mille e una notte. La storia immortale dei rapporti tra gli uomini e le donne. Yin e Yang. »
Un silenzio meditabondo, forse, dall’altra parte. E anche dalla mia.

3 Comments

  • Barbara N. D. Posted 13 Maggio 2008 19:27

    Forse non dovrebbero essere pubblicati libri dove l’autrice (insegnante a tempo perso!) scrive frasi come “sciami di uccelli…” Forse fa parte anche lei della casta e questo le rode e non poco. Forse dovrebbe riflettere sul senso della sua vita, del suo matrimonio e soprattutto considerare il senso del pudore.

  • Maria Adelaide S. Posted 3 Giugno 2008 20:53

    Anche questa volta sono salita sulla giostra dei tuoi pensieri con emozione
    e interesse. Mi sono fatta trascinare per le strade del centro, ho seguito
    gli incontri improbabili o scontati, eccitanti o noiosi, tutti funzionali e
    significativi per districare l’ansia dei tuoi pensieri, per l’urgenza della
    tua ricerca esistenziale. Ti ho riconosciuta e ti ho amata, mi hai fatto
    paura e mi hai conquistata. Tra ricordi e nostalgia, un’altalena di
    lontananza e di identificazione, di ebbrezza e sconforto. Una certezza: la
    tua scrittura continua a essere una sperimentazione espressiva di ricercata
    caratura. Vivere, raccontare, guardare il cielo sempre! Brava Anna

  • Barbara M. Posted 16 Giugno 2008 10:45

    non so chi sia la signora Notaro e forse è ininfluente.
    la complessità di una storia vibrante, la coinvolgente scrittura sdoppiata – la rima come volo dell’anima – e la prosa, aspetto razionale dell’io narrante, sono così totalizzanti che davvero non riesco la cogliere come la sottigliezza – peraltro capziosa – relativa a sciami di gabbiani possa fornire l’unico spunto di riflessione e, se del caso, di critica.
    mi pare di cogliere più di una vena di velenosa e sterile competizione femminina.

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