Cari lettori – sempre voi venticinque beninteso – navigando distrattamente, nel primo pomeriggio del mio ritorno in città, ho letto una recensione dell’Archivio segreto di cui mi piacerebbe discutere con voi (la trovate di seguito). Si trova in un sito che si chiama www.brotterie.it gestito da Fabio Brotto. L’autrice, come si può desumere dalle sue parole e dai suoi libri (anche di studio oltre che di narrazione), è convinta che una certa scrittura sia una possibile chiave di accesso al senso. Brotto mi sembra un critico di impegno, libero da schemi e pregiudizi, un lettore acuto, soprattutto scettico e disincantato. lo non sono certo un’ottimista ma amo troppo la filosofia, la letteratura, in particolare le favole morali per credere che non indichino un percorso e non abbiano un senso…
Brotto scrive che nella mia storia “l’interlocutore più importante è un gatto, saggio e parlante, che guida la protagonista nel mistero dell’essere (addirittura).” Aggiunge poi che “un gatto che parla, o che comunque è qualcosa di più di un gatto, deve essere (se non siamo in una favoletta o in Esopo) un demone come nel Maestro e Margherita, o un umano sotto falso sembiante. Qui viene presentato come un puro gatto. Qualcosa non va.” Quando leggo queste considerazioni un po’ mi meraviglio. Così come mi meraviglia la sua resistenza a interpretare il personaggio di Shaharazad in chiave allegorica o almeno antropologica, quando afferma: “Nel romanzo della Mattei vediamo un disperato tentativo di salvare la differenza tra l’uomo e la donna, attribuendo tra l’altro alla donna il ruolo di narratrice di storie e all’uomo quello di ascoltatore, sul modello delle Mille e una notte, che come soluzione è davvero un po’ debole, per quanto suggestiva.” Donne e gatti in effetti hanno sempre avuto problemi analoghi, almeno in certi momenti della storia, non sempre edificante, della nostra civiltà.
Però a me, al di là della facile ironia maschile sui gatti e le donne, la questione che interessa è quella del realismo, o naturalismo che dir si voglia, perché è preliminare a qualunque altra considerazione. Tanto mi interessa che la pongo anche nel primo capitolo dell’Archivio segreto, “Donne che parlano di cibi e di libri”. Nel corso della sua cena vegetariana Dorabella, l’artista, tenta di spiegare all’amica Ludmilla, giornalista, convinta sostenitrice della narrazione a una dimensione (quella biecamente cronachistica di tanti libri di oggi), quanto sia indecifrabile la cosiddetta realtà: quella sorta di misteriosa materia oscura che, non solo ogni specie, ma anche ogni individuo della stessa specie, percepisce in modo diverso, dal piccione, al gatto, al cane, a Giuseppe, a Maria, ecc.
Come si fa a parlare della realtà in modo realistico? Lo avrei fatto proprio io che ne ho fatto un tema narrativo? Quasi una tesi, anzi. E allora i discorsi di Dorabella e dell’altra amica, la scrittrice, che un po’ mi riflette, dove andrebbero a parare? Come può risultare “naturalistico”, un “puro gatto”, il gatto Gregorio che guida la protagonista in un misterioso percorso di discesa e risalita? Direste voi: “Ma certo che lo è. Lo hai descritto proprio come un gatto!”. “Ma mica i gatti parlano davvero”, vi risponderei io. Così come uno scarafaggio normalmente non pensa. Tranne quello di Kafka che più “naturalistico” di così non potrebbe essere.
E inoltre, perchè mai non si possa parlare dell'”essere” attraverso un gatto me lo dovete spiegare voi venticinque, se ne avete voglia. O, forse, oggi non ha senso parlare di senso, come disse molti anni fa l’illustre semiologo Greimas.
Quanto alle differenze tra l’uomo e la donna vorrei solo ricordare, con le storie delle mie coppie sull’orlo di una crisi di nervi, la loro strutturale e ineliminabile interdipendenza. Non mi verrebbe mai in mente di suggerire soluzioni. Magari ne avessi. Shaharazad e il suo re, però, sono modelli archetipici straordinari. Perché non li rileggiamo in tal senso? Yin e Yang, maschile e femminile. Essere e divenire. Il giorno e la notte. E il simbolo del Tao – pensate… – non può essere un caso che sia stato assunto da Niels Bohr come immagine del principio di complementarità.
Comunque vi rimando al capitolo successivo, dove riporto tutta la recensione di Brotto e la mia discussione con lui. Giudicate voi.
2 Comments
e se la funzione del gatto Gregorio fosse stata espletata nella narrazione da un io narrante interiore, da una voce dell’inconscio e/o da un amico immaginario oppure ancora da un essere umano tangibile ma senza nome? insomma non riesco a condividere la necessità di distinguere o di individuare scientificamente la natura del gatto. Penso che Gregorio svolga egregiamente il suo ruolo: è memoria storica dei luoghi e di chi li ha abitati, è contraltare onirico all’abitudine di volersi strettamente limitare al tangibile, è la metafora che stimola a non fermarsi alle apparenze. Alla pagina 205, dopo il commento seccato “Siamo in un deposito di spazzatura! E’ qui che mi porti con tanta premura?” gli chiedo seccata sentendomi ingannata.” Gregorio risponde:”vieni con me….. e potrai vedere cose davvero interessanti… non ti pentirai di esserti fidata”.
E poi a pagina 214 Gregorio dice: ” … Il sentiero interrotto e smarrito forse l’hai già ritrovato e il giorno non è del tutto finito…… Ma bada alla mente che inganna e liberati dalla sua condanna. Il cuore è capacedi intendere meglio di un sapiente dottore…. Lasciati andare”
Gregorio è il tramite mediante il quale scoprire che esiste molto di più di quanto la percezione materialisticamente visiva ci mostra.
Insomma che importanza ha stabilire se è un gatto naturalisticamente inteso, se è un gatto demone o se non è né l’uno né l’altro?
Non avrei mai creduto che il testo ponesse un problema d’indole naturalistica, animalista od altro. Provate ad immaginare una simile diatriba postulando Humpty Dumpty: un vero o un falso uovo? Come Barbara, faccio fatica a discernere in quei termini la natura di un essere di parola a tutti gli effetti. Ma stando al gioco del significante nell’acuto testo che ha portato alla discussione, direi che si tratta di un purissimo gatto con funzione di demone socratico.
Vorrei fare notare che Gregorio pone una discontinuità quando rompe la serie degli animali che parlano alla protagonista di questo viaggio. Premetto che questo viaggio ci viene presentato come un “alla ricerca della narrazione perduta”, un percorso che cerca il senso dietro la profusione di sensi che d’un colpo, per qualcuno (capita per fortuna) si riducono a nulla. Ecco che mi viene in mente la funzione attribuita da uno scrittore argentino alla psicoanalisi come alla letteratura.. entrambi servono a farci galleggiare nell’oceano del linguaggio..
Un viaggio quindi nei meccanismi della narrazione stessa, concepito giustamente come una questione di vita o di morte soggettiva (“la realtà esiste se la si racconta”).
Andiamo al dunque: l’incontro con Gregorio avviene in effetti dopo una scansione nella struttura del testo: un incrocio di sguardi con quell’altro lettore sognatore che, solo con il suo cane, “mentre il moto vorticoso del mondo si arresta per un istante” -mi piace immaginare- sogna l’eroina di questa meravigliosa avventura.
L’incrocio di sguardi tra il lettore che sogna la eroina e la eroina che trova il sognatore è il cortocircuito che fa entrare il nostro Gregorio, evidentemente familiare alla protagonista: “-Come mai proprio tu non mi parli?” Ecco come si alloggia l’enigma, vuoto prezioso dell’essere.
La nostra lettrice-camminatrice, che non sa, trova finalmente (ci è voluto un solo apparentemente arbitrario percorso) dove supporre il sapere. Ed ecco che Gregorio (come Socrate, e in questo potrei riconoscere quel demone di cui si è parlato) risponde saggiamente: ” mia cara, sai già ciò che devi sapere”. Basterà questo per porre fine alla divagazione, dando inizio al viaggio che spazzerà la tela delle elucubrazioni, operazione divenuta necessaria per riprendere la parola…in effetti, ora sarà lei ( e noi dietro di lei) a “seguire” Gregorio nell’avventura del sapere non sapere.
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