In memoria di Giovanni Bollea…

Giovanni Bollea era già vecchio quando lo conobbi e l’impressione che mi fece da subito fu quella di una sincerità totale e immediata. Parlava con quella felice e sapiente consapevolezza che sarebbe tipica dei bambini, se oggi ancora se ne trovassero, immuni dal contagio globale. Giovanni è stato un esempio vivente di come l’autenticità delle emozioni, dei sentimenti, dell’intelligenza intuitiva, renda assurda ogni classificazione, inutile il conteggio degli anni. Mi è sempre sembrata aberrante la nostra classificazione delle età: neonato, bambino, adolescente, giovane, adulto, anziano, vecchio: con tutti i pregiudizi che a ogni età si legano, inevitabili.
Per i romani fino a diciotto anni si era puer, dai diciotto ai trenta adulescens, da trenta ai quarantacinque iuvenis, poi si era senior e quindi senex. Il cursus honorum aveva ancora limiti di età ben precisi quando il puer Ottaviano li infranse, a diciotto anni, con conseguenze inimmaginabili per l’equilibrio dello Stato: gli ordinamenti della Repubblica restarono in piedi – magistrature, organismi di controllo, ecc – ma vennero del tutto svuotati di senso e di efficacia dall’invasione della politica e dal potere assoluto del princeps, come lui stesso si definì. Ottaviano, a detta sua, era solo il “primo” ad avere il diritto di parola nelle riunioni del Senato, solo un primus inter pares insomma, che però cambiò subito il suo nome in Imperator Caesar Augustus. Basta leggere ancora oggi le sue res gestae, la cronistoria delle sue imprese, da lui stesso dettata, affissa sull’esterno dell’Ara Pacis: pacificatore di Roma e dell’impero, unico protagonista delle storia. Cosa c’è di meglio di un supremo ordinatore quando i conflitti politici e le guerre civili lacerano il tessuto di una nazione? “Chi se non lui?” si dice sempre di chi si prende il compito di riportare la pace cancellando le regole e le istituzioni, assumendosi compiti in nome di un popolo virtuale che gli delega tacitamente ogni potere. La libertà allora, “ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, diventa un nome vano per molti che preferiscono dormire in una stanza buia e silenziosa piuttosto che essere svegli e lottare in piena luce nel mondo rumoroso e disordinato.
Giovanni aveva conservato in sé il bambino sapiente ed era in grado di combattere con audacia, senza paura, liberando la voce degli altri bambini spaventati dalle falsità e dalle violenze degli adulti. Inascoltata ancora la sua straordinaria proposta: i genitori avrebbero dovuto piantare due alberi per ogni nuovo nato perché l’aria e la vita, data e offerta, si compensassero in un perenne scambio. Quanti di noi conoscono e intendono un’idea così semplice e poetica tanto da metterla in pratica? Quando ero bambina c’era la festa degli alberi: le maestre ci portavano a piantare alberelli in un certo giorno dell’anno che non ricordo quale fosse. Quando ero bambina piante e animali non erano stati rifiutati dalla città: i gatti abitavano nelle rovine, nei cortili dei palazzi, nelle piazze.
Ieri, sul marciapiede che gira intorno al Colosseo, qualcuno aveva deposto il corpicino rigido di un gatto: investito? avvelenato? morto di stenti? Comunque nessuno dei passanti ci badava né riconosceva in lui un fratello..
Ciao Giovanni! Che la memoria tua resista a lungo nell’opera che hai svolto, nella testimonianza di tanti che hai beneficato, nei tuoi scritti, negli affetti di coloro che hai amato. Possa tu ricordare a tutti la sacralità e la sapienza dell’infanzia capace di dialogare con le pietre e con gli alberi, con gli animali e con le nuvole, come a una parte integrante di sé..

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