Essere piccoli è una condizione dell’anima. Potremmo recuperarla per guardare ogni cosa con la stessa sorpresa dell’infanzia. Un’amica pediatra mi raccontava tempo fa che i bambini non conoscono la morte o almeno non la temono: i piccoli malati terminali del suo reparto d’ospedale continuano a giocare tranquilli fino alla fine. Essere piccoli vuol dire allora non avere paura? Vivere ogni giorno come una vita intera tutta da esplorare? Non percepire il tempo e il dolore? Il tempo lo abbiamo inventato noi, in effetti. E il dolore? Noi adulti siamo sempre spaventati e, come se non bastasse la paura indotta dalla mente e dalla coscienza, i nostri tempi sono carichi di una paura collettiva che attraversa le nostre città e le nostre case. Il passato ci tormenta e il futuro ci minaccia, il giorno che è “oggi” ci sfugge proprio mentre lo pensiamo. Però “oggi” è un dono, è il “presente”. E un istante impercettibile è l’eternità. I bambini lo sanno. Chissà che non sia questa la beatitudine che continuiamo a rimpiangere per tutta la vita.
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