L’ufficiale e la spia, libera traduzione del titolo originale del film, J’accuse, è un film profondo, potente, magnifico, ennesimo capolavoro di Roman Polanski. Vederlo è stato come vivere un’esperienza sensoriale, emotiva e intellettiva, totalizzante. Mi capita di rado, soprattutto con alcuni libri, di sentirmi ‘dentro’ il mondo narrato, rappresentato con tanta forza ed evidenza da diventarne io stessa parte integrante. Del caso Dreyfus avevo una memoria molto letteraria, riassunta nell’immagine della prima pagina dell’ “Aurore” con il celebre J’accuse di Emile Zola. Conoscevo la storia dell’ufficiale ebreo, pubblicamente esposto e degradato, condannato alla prigionia in un’isola deserta, per essere stato riconosciuto colpevole di alto tradimento in base alle calunnie montate ad arte dai vertici militari e politici del tempo, sull’onda di ottusi pregiudizi antisemiti. Ma ‘rivivere’ letteralmente il caso Dreyfus, attraverso il film di Polanski, è stata davvero un’esperienza fuori dal comune, una sorta di immersione nelle zone più profonde della storia e dell’interiorità. Mi è sembrato geniale raccontare tutta la vicenda dal punto di vista dell’ufficiale Georges Picquart, penetrando con lui, attraverso il suo sguardo, le sue convinzioni morali e le sue azioni, non solo nella kafkiana burocrazia militare e politica, ma anche in una dettagliata scena urbana e sociale, fatta di strade, case, caratteri, costumi, mentalità, in una Parigi di fine secolo, ricostruita in modo perfetto e avvolgente, con le luci, i cieli, le strade, la polvere, il sangue, più veri del vero. Ma la straordinaria narrazione che Roman Polanski fa dell’affaire Dreyfus è molto di più che una sapiente ricostruzione filologica del grande regista che lui è, in ogni caso. Come altri film di questa nostra attuale stagione culturale, che sembra esprimersi nel modo più alto proprio attraverso il cinema, anche “J’accuse” è un viaggio alle radici oscure del male, che, come un incendio dell’anima, esplode e dilaga in modo diverso e ricorrente, in forme irragionevoli e violente, fino a trovare un argine nella intelligenza limpida dell’arte, capace di riconoscerlo e sovrastarlo.
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