Sappiamo ancora parlare d’amore?

Sappiamo ancora parlare d’amore?


Fu nei fiorenti feudi dell’antica Aquitania del dodicesimo secolo che l’esperienza d’amore, per la prima volta, venne pienamente e liberamente vissuta, indagata nella sua natura enigmatica, codificata in rituali complessi, espressa in una altissima forma poetica. La civiltà occitanica – così chiamata dalla lingua d’oc che si parlava nei territori a sudovest della Francia – maturò una lunga e complessa riflessione sull’essenza misteriosa del fenomeno amoroso, che considerò il nucleo fondante di un diverso modo di sentire e di un nuovo modello sociale, all’interno di un sistema culturale assai avanzato, improntato al dialogo, alla parità tra l’uomo e la donna, al libero pensiero. Indagare sulle origini del discorso d’amore ci fa riscoprire, in modo inatteso, un mirabile momento di rinascenza di un medio evo illuminato, che pose la donna e l’amore al centro di un processo di rigenerazione e rinnovamento, non solo di ogni singolo individuo consapevole, ma dell’intera società. Non a caso Simone Weil definì la civiltà della cortesia e dell’amore come la più evoluta e irripetibile della storia europea.

L’amore celebrato nel grande canto dei trovatori, semplici cavalieri e potenti signori, uomini e donne, fu chiamato fin’amor, amor nova – di genere femminile in lingua d’oc – e venne inteso e vissuto come accensione straordinaria dell’anima e dei sensi, occasione di rinascita e conoscenza di sé, riservata a chi sapesse intenderne le potenzialità per naturale predisposizione e per formazione culturale. Perché la sua straordinaria potenza venisse colta e compresa da chiunque la avvertisse in sé, venne elaborata, all’epoca, una sorta di grammatica morale, un vero e proprio codice, che illustrava il cammino da compiere a quanti si sentissero in grado di intraprenderlo. L’esperienza d’amore, per chiunque fosse capace di provarla e intenderla, si doveva trasformare in tal modo in un vero e proprio cammino guidato, introspettivo e iniziatico, alla ricerca della chiave di accesso a una superiore sapienza, alla divina sophia rispecchiata nella bellezza della donna. La donna, domna nell’antica lingua d’oc, era considerata, in questo contesto, la domina, la signora, e l’uomo era il suo vassallo, che, come in un rapporto feudale, le poteva rendere il debito hommage (omaggio) solo dopo aver superato vari gradi lungo la via del perfezionamento di sé e del riconoscimento del carattere inestinguibile del proprio desiderio. Solo alla fine del suo cammino di formazione, dopo aver dato prova di cortezia, mesura e valor, il cavaliere, divenuto om cortès (uomo cortese), poteva giurare fedeltà e obbedienza alla sua domna, senza mai pensare di risolvere nell’illusione del possesso la sua inchiesta d’amore.

1 Comment

  • l Posted 6 Novembre 2018 01:49

    …al tema sono giunto involontariamente, non per curiosità intellettuale ma a causa di un bagliore, molti anni fa; tante le vicissitudini e una inesplicabile ostinazione che ancora oggi mi avvinghia. Questa irriducibilità a volte vacilla, sono in carne e ossa e il tempo trascorre inesorabile lasciando una striscia di tristezza, rabbia, sconforto, angoscia, cose che si cerca di mitigare per preservare corpo e mente dai contraccolpi che potrebbero stroncare, eppure non pare esserci modo di svuotare il cuore; sono certo di avere avuto accesso a qualcosa di cui inizialmente neppure sospettavo l’esistenza, ora è in me e agisce in me, con tormento, con sadismo quasi, l’effetto maggiore è la desolante solitudine; eppure se non avessi intravisto questo enigma non avrei potuto salire quel quarto di gradino “evolutivo” che rende un poco più spirituali.
    Ho trovato casualmente notizie del suo libro oggi, il tema per quanto ne so è poco trattato, c’è l’amore e l’occidente di De Rougemont, ci sono altri autori francesi che ora non ricordo ma pare non siano stati tradotti, c’è Reghini e Valli, certamente lei ne saprà altri ma questo tema mi sembra di capire non è mai stato attualizzato, reso vivo come lo era per i trovatori e fedeli d’amore (c’è da scordarsi gli psicologi e psicanalisti che a mio parere nulla sanno ed instillano nei cervelli cose che nei migliori dei casi sono frutto di indottrinamento). Elemire Zolla in un suo libro illustra il procedimento utilizzato dai fedeli d’amore, e ad un certo punto asserisce che questa linea iniziata coi trovatori (si, giunge da più lontano ma qui non interessa) avrebbe potuto divenire una religione; ecco, la butto lì… io credo che esponenti inconsapevoli di quella stirpe siano fra noi e probabilmente alcuni altri stiano emergendo per collocare dei punti di riferimento, tra questi ultimi forse potrebbe rientrare lei, cosa che non so non avendo letto il suo libro ma ugualmente vorrei chiederle cosa ne pensa. Ripeto, la conoscenza teorica è una gran bella cosa ma ciò che nutre l’anima e il cuore è l’esempio concreto di altri esseri umani, la loro vita, i loro sbagli, i loro insegnamenti o le loro disavventure, ciò che scoprono e fanno e come influisce sulla vita di tutti i giorni, insomma mi chiedo se sia possibile scovarli e scriverne.
    Grazie per lo spazio…

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