Sulla deriva istituzionalizzata del libro e della lettura

A quel che scrive Di Stefano e che condivido pienamente aggiungerei solo che l’ultima attività promossa per le scuole dal Centro per i libro e la lettura si intitola appunto Scriviamoci, simmetrica a quella dell’anno scorso che si chiamava Libriamoci. Dovremmo commentare ancora più duramente iniziative di questo genere per arginare il fenomeno dell’effimero che dilaga proprio a partire dalle  istituzioni delegate a risanare il sistema della cultura. Il libro e la lettura, quindi la stessa scrittura, sono in crisi drammatica da anni e questi rimedi sembrano essere più letali della malattia. Gli editori cercano il libro facile e popolare di qualche improvvisato scrittore che abbia un nome mediatico trainante o che sappia raccontare storie elementari che addormentino le coscienze e non impegnino troppo né il cuore né la mente. Molti librai chiudono o, per non morire, trasformano le loro librerie in empori in cui il libro è solo una merce accessoria. Le Biblioteche statali si avviano a diventare musei a pagamento e fabbriche di eventi per attrarre visitatori e non certo lettori.  Nelle scuole l’unico libro ammesso è il manuale che cerca di inglobare in sé il mondo a pezzi dei libri veri. Se si comprendesse a pieno questo fenomeno di deriva apparentemente inarrestabile della nostra cultura attraverso una campagna di informazione continua e pressante, si troverebbe il modo di intervenire e di risalire la china selezionando e premiando in ogni campo la preparazione e la passione, l’audacia e la determinazione, invece del compiacente servilismo gradito a quanti esercitano il potere per il potere.

Biblioteca degli inediti? Populismo paraletterario
Paolo Di Stefano
Corriere della Sera –  23/6/2015

L’intenzione di creare una Biblioteca Nazionale dell’Inedito, dichiarata dal ministro Dario Franceschini, ha scatenato molte ironie. C’è poco da scherzare, è in realtà una minaccia. Scrive bene, ne ilpost.it , Francesco Cataluccio, che ha lavorato per anni nell’editoria: se le due Biblioteche Nazionali e le sette Statali, che conservano i libri pubblicati, sono vicine al collasso (pochi soldi per le acquisizioni, scarso personale, spazi ristretti, catalogazioni lente, orari di apertura limitati…), pensate cosa sarebbe mettere su e gestire una collezione, potenzialmente infinita, di opere inedite: «Un luogo — aggiunge il ministro — dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati». Ma a che scopo?    Vale la pena conservare a futura memoria (collettiva) le tonnellate di manoscritti rifiutati dagli editori? Qualche anno fa Silvia Pertempi aveva frugato negli armadi dell’editore Donzelli e ne era venuta fuori una rassegna, Romanzi al macero , di temi e stili dei non pubblicati, comprese le lettere di accompagnamento spesso lievemente irritanti. Pseudo romanzi psicologici zoppi, fantasie illeggibili, rosa senza sentimento, gialli senza tensione, romanzi sociali senza società, esercizi narrativi generalmente autoriferiti e privi di originalità, imitazioni di De Carlo, di De Luca, di Volo, di Lucarelli…
«Scrivere — ha detto Franceschini — è una terapia straordinaria, è un atto di grande creatività e libertà, che tutti dovrebbero fare al di là del talento o dell’essere o meno portati». Sacrosanto, anche suonare la chitarra e il pianoforte, cantare, dipingere, disegnare: sono utili terapie di benessere, ma il quadro dello zio pittore della domenica non pretendiamo che finisca agli Uffizi e neanche al Pac, e quando il bambino strimpella con il flauto chiudiamo le finestre per timore di disturbare i vicini. Dovrebbe esserci un pudore anche nell’espressione di sé. Ve la vedreste una mega galleria di croste dei pittori dilettanti da Udine a Pachino? Riporre in un cassetto di casa il romanzetto abortito del nonno può giovare a tener viva la memoria familiare. Una Biblioteca Nazionale di romanzetti mal riusciti dei nonni e delle nonne e delle prozie, dei cugini e dei pronipoti d’Italia sarebbe il trionfo del populismo paraletterario che già fa abbastanza guai nelle librerie. Oltretutto in un Paese in cui, per i diari e le scritture private di interesse storico, c’è l’Archivio di Pieve Santo Stefano creato anni fa dall’eroico Saverio Tutino.

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