Una ragazza che è stata mia madre

Una ragazza che è stata mia madre

La sintesi che leggete qui di seguito, cari lettori, la trovate anche sull’aletta del libro. Non mi è mai piaciuta e non l’ho scritta io. Comunque ve la propongo. Eccola.

Dall’intreccio delle storie di famiglia si dipana il filo di un’esistenza femminile individuale che rifiuta il luogo comune, il percorso già segnato in precedenza, il solco battuto. La storia di una donna che non si arrende al filo di perle intorno al collo, vissuto come l’insegna di una tribù di cui non può, e non vuole, fare parte. La storia di una donna che ama il suo lavoro di insegnante, e lo fa bene, scontrandosi con l’ottusità di un mondo regolato da norme banali, ma ferree. Con uno stile asciutto e allo stesso tempo immaginifico, Annarosa Mattei descrive con sguardo impietoso e tuttavia divertito le miserie, i riti e vizi di una società decadente e inconsapevole, che celebra se stessa in un chiacchiericcio privo di senso e di moralità.

Questa che segue è, invece, la mia sintesi.

Una ragazza che è stata mia madre è una novella fantastica, sentimentale, grottesca: una favola urbana che intende rappresentare le convenzioni e il degrado della società attuale; una pantomima teatrale in cui gli inganni della realtà, la materia dei sogni, l’innocenza salvifica degli animali diventano motivo di riflessione e di invenzione narrativa. La storia narra di una figlia e di una madre, di una famiglia di gatti, di una antica Città minacciata dalla distruzione, di un Palazzo fortificato in cui si concentra la resistenza di pochi. La sapienza ancestrale della madre, che continua con lei il suo dialogo, anche oltre la vita, rivela alla figlia le esperienze fondanti dell’amore, della nascita e della morte, indicandole il percorso da compiere per uscire dal mondo dissestato in cui si è persa. La figlia inizia così una corsa a perdifiato nei labirinti della Città invasa da bellicose formazioni tribali. All’interno del Palazzo in cui finalmente crede di essere al sicuro, la donna vive una lunga parentesi di libertà clandestina accanto ai giovani, ai libri, alla lettura, finché i Barbari invasori non ne abbattono le mura imponendo ai vinti le loro nuove regole. Saranno i suoi gatti magici a farle oltrepassare le soglie tra la verità e la finzione lasciandole intravedere un punto di quiete.

Che ne dite? Vi piace di più? Vi fa venire la curiosità di leggere?
Sono uscite molte recensioni di questo libro ma questa, di Antonio Debenedetti, è quella che ho amato di più. Per una consonanza di vedute, forse, con l’autore, che stimo per tante ragioni. Per la sua memoria di un’altra stagione letteraria, per il suo lungo esercizio di critico e di scrittore, per il suo amore per Roma. Una città – la “Città” del mio racconto – che anche lui considera uno straordinario teatro in cui la storia si rappresenta ogni giorno. Una storia fatta di tante storie, di personaggi illustri e meno illustri, di ognuno di noi e di tutti coloro che ci hanno preceduto, del presente e del passato che si sovrappongono a strati e coesistono, manifestandosi e parlando solo a chi vuole davvero vedere e ascoltare.

Recensioni

da Il Corriere della Sera (17 giugno 2005) pagina 56  Libri Romani 
La favola urbana di Annarosa di Antonio De benedetti 

La favola urbana di Annarosa « Romanzo di formazione » , a volerlo così definire, Una ragazza che è stata mia madre ( Oscar Mondadori pp. 221, 10 euro) segna l’ esordio narrativo di un’ autrice già elegantemente padrona della scrittura. Annarosa Mattei infatti, docente liceale molto attiva nell’ insegnamento della nostra letteratura, aveva dato convincente prova di sé quale curatrice di un’ edizione dei pirandelliani « Quaderni di Serafino Gubbio operatore » , destinando quel suo lavoro di esegesi critica e accorta divulgazione ai lettori in età scolare. Adesso il debutto, tutt’ altro che spensierato, nella narrativa professionale. Annarosa è stata come presa per mano da un’ onesta e delicata storia italiana, una sorta di favola autobiografica messasi in opera con evidente naturalezza. La protagonista, che rispecchia con il necessario e laico distacco la stessa autrice, incontra sul proprio frastagliato cammino di bambina, quindi di adolescente e finalmente di donna, protagonisti e comparse di quella ordinaria quotidianità da lei tuttavia vissuta con gli occhi troppo grandi, sgranati della fantasia, dell’ ingenuità curiosa e vulnerabile. Così i parenti terribili, che troviamo nelle prime pagine del libro, tengono il luogo delle streghe e degli orchi in un bosco incantato. A loro si contrappone, come la luce all’ ombra, una madre che della fata ha la onnipresenza di una tempestiva soccorritrice. Andrà anche notato che, in polemica con quella che piacerebbe qui definire desertificazione urbana, la Mattei dedica a cani, gatti e altri quadrupedi della fauna cittadina pagine cariche d’ accorata, nobilissima complicità. Ma non è tutto. La favola cede il passo a un raccontare fra analitico e ironico quando la scrittrice affronta i problemi della scuola o fa specchio alle vanità della Roma culturale. Perché la Capitale, il suo centro storico, sono il muto, mai nominato ma riconoscibilissimo scenario di questo racconto parecchio elaborato sul piano formale e stilistico. Basti che a una divertita, spavalda eliminazione delle virgole corrisponde l’ uso d’ un lessico sceltissimo pur nella sua comunicativa sobrietà.

 

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