Grande Busi! Evviva l’apocalisse..

la Repubblica

Mercoledì 22 maggio 2013

Elogio dell’apocalisse infrasettimanale

La Terra non ha doppioni e si va esaurendo, e con essa la vita umana, che nel suo divenire ha creato essa stessa l’antidoto alla razza umana: diecimila anni, gli anni per così dire della ragione, di tempo perduto a non capire niente né di sé né del luogo in cui con gli altri sé avveniva questo sé umano. Quanto resta all’umanità prima di estinguersi? Duecento, trecento anni?

ALDO BUSI ALL AUDITORIUM DI ROMAMi sembrano francamente un’enormità ottimista. La razza umana, se qualcuno potesse darne un valore una volta estinta, non è un granché, quindi sarà giusto che non ci sia nessuno a tracciare le tappe del suo passaggio. Chi c’è c’è e chi non c’è non ci sarà mai più. Va da sé che nessuno sarà mai stato. Trecento anni di scorta finale equivalgono a tre secondi rispetto ai milioni di anni che sono passati dalla prima forma di vita terrestre: non bastano a cambiare rotta.


Non ci sarà un’altra Storia… un’altra manutenzione del sistema dentro/fuori, di quanto è mio e quanto è tuo e quanto di tutti e pertanto inalienabile… si procede con la solita storia conosciuta, che porta direttamente alla morte collettiva dell’umanità. E ben le sta. Doveva organizzarsi meglio, contenere il suo istinto più basso: quello della stupidità, che ovviamente riguarda anche i più ricchi di spirito e di cultura. Per quello che ne hanno fatto… un trampolino quanto un altro verso, un qualche potere su chi non ne ha.

Mi guardo attorno e non vedo davvero segni di una qualche misura umana intelligente: guerre, superstizioni, inane e irresponsabile fertilità di uteri a cento, carestie, olocausti, santi, madonne, droga, prostituzione, sfruttamento minorile, tratta di schiavi, la cultura della vittima necessaria, amico o nemico, innocente o capro espiatorio, e furbizia, religione, demagogia, superomismo e il sesso più che mai come merce di scambio e che per essere veri a letto bisogna avere il contentino per recitare una parte, e la prosopopea dei capetti che, come altri dicono di essere il medium della Volontà Divina che si serve della loro lingua per manifestarsi, affermano di stare vivi a pane e cicoria, loro, e che stanno dando solo una mano per la crescita della civiltà, e tutti che mangiano, mangiano, mangiano, scavano, svuotano, appestano, desertificano e poi pregano, talvolta addirittura nell’intimità, come tanti bambini che sanno di avere rubato la marmellata sin dalle radici stesse che ne producevano il frutto, e il loro unico distintivo di civiltà è che defecano tre volte più del necessario e che, comunque, saranno perdonati se agli altri non resta nemmeno il torsolo del rotolo. Tempo perduto, tempo scaduto.

Nessuna distinzione più tra la merda di chi la fa e la merda che è chi pensava di spingerla solo fuori come altro da sé, un corpo staccabile dal proprio, di una biodegradabilità tutto sommato aliena, spregevole, e impensatamente preziosa, fino a che non ha fatto tutt’uno e la cosa da spingere fuori era colui che per millenni.. di prova… fuori la spingeva. Il water si fa cosmico e risucchia e sprofonda la fogna nella fogna, e la ferita dello sciacquone umano si richiude. L’asilo è finito.

Mi immagino la Terra spopolata di ogni presenza umana, e nella quale tutti gli orpelli dell’Essere e dell’Avere Per Apparire siano, se non ancora polvere, coperti da foreste pluviali e da allegri termitai: televisori, telefonini, computer, play station, elisir di lunga vita e contro ogni minimo dolore, matracci… ah sì, la scienza, il progresso: a forza di pretendere di far morire la morte… telescopi, auto, aerei, navi, chiese e grattacieli e banche e rotative e falli e vagine di resina e santuari di una qualche vergine e mausolei a imperitura memoria dei Grandi Raddrizzatori Di Banane e biblioteche dedicate al Principe e al Cardinale e frigoriferi e microonde e discariche di plastica, di rifiuti tossici, di veleni industriali e di pannolini e pannoloni alte quanto montagne, e cimiteri e ossari dei fedeli che hanno fatto a tempo a morire di morte naturale, i più sfortunati, e che ora saranno nell’al di là a maledirlo per l’eternità se mai ne avessero trovato uno, due palleee, e finalmente capisco la bellezza della razza umana pur nella sua bruta bruttezza: era necessaria perché almeno una volta ci fosse, perché una volta scomparsa si compisse la bellezza ripristinata, suprema e definitiva della terra, finalmente tutta minuscola e inutile se non al suo proprio equilibrio tra cielo e sole, immemore e gentile nella sua meritata e fin troppo tardiva convalescenza.

 

 

 

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